Traffico di rifiuti: indagine della dda sulla rotta Gaeta-Bulgaria
Un traffico illecito di rifiuti tra il porto di Gaeta e la Bulgaria. È quanto scoperto dal Comando carabinieri per la Tutela ambientale della Campania seguendo un imprenditore legato ai casalesi ha scoperto un traffico illecito di rifiuti tra il porto di Gaeta e la Bulgaria. L’imprenditore si era aggiudicato diversi appalti sui rifiuti in provincia di Caserta nel 2019 e 2020. Il sospetto che quei rifiuti fossero poi dirottati verso altri Paesi ha spinto gli inquirenti a indagare. I Carabinieri sono quindi riusciti a ricostruire un vasto traffico illecito di rifiuti tra Italia e Bulgaria attraverso il porto di Gaeta.
Grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia gli inquirenti hanno ricevuto informazioni sulla presenza di un business transnazionale di rifiuti controllato da esponenti del clan dei casalesi. Secondo quanto appurato dalla Direzione Distrettuale Antimafia i camion entravano nel porto di Gaeta con documenti falsi. Da qui venivano imbarcati e raggiungevano il porto di Burgas in Bulgaria sulla costa occidentale del Mar Nero.
Sulla questione è intervenuta anche Paola Villa, ex Sindaca del Comune di Formia. In un post su Facebook ha richiamato la vicenda della morte della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore che l’accompagnava. Una vicenda ancora avvolta da troppi misteri, tra inchieste e segreti di Stato. «Sul porto commerciale di Gaeta ha sempre avuto ragione lei, ha sempre avuto ragione Ilaria Alpi. Ed è per questo che vi siete dati da fare tutti, politici, imprenditori, faccendieri, criminali, camorristi, servizi segreti e tanto altro per ucciderla. Grazie Ilaria», ha scritto la Villa.
Traffico di rifiuti: Gaeta, le indagini e la morte di Ilaria Alpi
«Ilaria era una nostra collega, una nostra amica, una ragazza giovane che aveva voglia di lavorare. Aveva vinto un concorso per lavorare in Rai e aveva passato dei mesi con noi diventando… imparando il mestiere insieme a noi, diventando una brava reporter e una brava giornalista. Questo è quello che possiamo dirvi ora, non so se… Un attimo… Pronto? Sì. Chiudiamo questa edizione straordinaria realizzata naturalmente in modo molto… molto avventuroso come potete vedere dandovi di nuovo questa notizia: una collega della Rai, Ilaria Alpi, e il suo operatore che l’accompagnava sono stati uccisi non più di un’ora fa a Mogadiscio».
Con queste parole Flavio Fusi annunciava la morte di Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin in un’edizione straordinaria del Tg3. Le circostanze di quell’agguato non furono mai chiarite. Ciò che si sa è che ad aggredire i due fu un commando, composto da sette persone. Dopo aver sbarrato loro la strada mentre si trovavano a bordo di una vettura hanno aperto il fuoco.
Inviata del Tg3 in Somalia, Ilaria Alpi era innamorata di questa nazione che tentava di proteggere. Ad accompagnarla solitamente era l’operatore Alberto Calvi. Ilaria Alpi cercò di convincerlo a seguirla anche nel settimo viaggio. «È la storia della mia vita, devo concludere, voglio mettere la parola fine», aveva detto proprio al suo collega. Invece ad accompagnarla in quel viaggio fu l’operatore Miran Hrovatin dell’agenzia Videoest di Trieste. La Videoest era l’agenzia che forniva operatori alla Rai per servizi nei Paesi dell’ex Jugoslavia. Miran Hrovatin era di origini slovene e aveva realizzato servizi sulla guerra in Bosnia.
Ma cosa stava cercando di dimostrare Ilaria Alpi nei suoi viaggi? Erano semplicemente viaggi da inviata del Tg3 che tornava in Somalia per raccontare del ritiro delle truppe italiane oppure stava cercando altro? Evidentemente la risposta corretta è la seconda. Dalla ricostruzione fornita da Gigliola Alvisi in nell’illuminante Ilaria Alpi, la ragazza che voleva raccontare l’inferno emerge in modo chiaro il reale interesse della giornalista.
La mattina del 15 marzo 1994 infatti Ilaria e il suo operatore si recarono al porto per osservare (e riprendere) le attività di carico e scarico delle molte navi. Un somalo però li avvicinò vietando loro di continuare a fare riprese. «Per essere in piena guerra qui c’è un sacco di lavoro», fu il commento di Miran Hrovatin. Proprio le ragioni di tutto quel movimento erano al centro delle inchieste di Ilaria Alpi. Quest’ultima era infatti convinta che il porto di Mogadiscio fosse un punto nevralgico per un traffico illecito di rifiuti.
«Sai cosa penso? Che come in tutte le guerre anche qui ci dev’essere un traffico di armi pazzesco. Ma questo lo sai anche tu, con tutto il tempo che hai passato in Bonia. Qui girano tutti armati, ci hai fatto caso? Secondo te dove prendono le armi i somali? Non ci sono negozi, qui in Somalia non c’è più niente, soltanto armi»*
L’idea di Ilaria Alpi era questa: in cambio delle armi i somali accettavano di ricevere la spazzatura.
«Loro ottengono le armi e inabissano in mare o sotterrano sotto il deserto tonnellate di rifiuti tossici. Avvelenano il loro Paese in cambio di armi»*
Una ricostruzione che, a quanto pare, fu confermata a Ilaria Alpi da fonti locali.
«Mi ha raccontato che quando ci sono forti mareggiate affiorano dal mare fusti di materiale ignoto, che poi finiscono nelle reti dei pescatori. Li portano a riva, li consegnano alle autorità portuali e non si sa come, nella notte i fusti spariscono dalla banchina. I fusti vengono inabissati utilizzando dei pesi. Pensa, certe volte fanno affondare intere navi piene di questi rifiuti, così ci mettono meno. Geniale, non trovi? Le chiamano navi a perdere. Qui in Somalia c’è un bel po’ di mare da riempire e anche un bel po’ di deserto… E questo è un fatto»*
L’altro fatto, quello che Ilaria Alpi aveva scoperto, era che i medici della zona di Bosaso avevano registrato un forte incremento di casi di tumori infantili e di neonati malformati. Ma Ilaria Alpi era anche riuscita a ricostruire il tragitto delle navi. I rifiuti infatti arrivavano dall’Italia e dall’Europa.
«È da tanto tempo che seguo questa storia. Funziona così: la cooperazione italiana ha donato alla Somalia una flotta di pescherecci che fa capo a una società che si chiama Shifco. L’obiettivo ufficiale è aiutare la Somalia a ricostruire l’attività economica tipica del posto, come la pesca. L’Italia dona le navi e si impegna a comprare il pesce che i pescherecci della Shifco pescano nelle acque somale. Le navi quindi dovrebbero pescare in Somalia, portare il pesce in Italia, scaricarlo e ripartire vuote per la Somalia.
E invece…ascolta bene. Il personale di bordo è esclusivamente italiano. I magazzini italiani della Shifco di Gaeta non sono attrezzati per il trattamento del pesce. I pescherecci vanno a Gaeta soltanto ogni sei mesi, troppo raramente per scaricare pesce, no? E soprattutto le navi della Shifco sono presenti in tutti i maggiori porti europei. E se davvero le navi tornano vuote come mai ci sono sempre operazioni di carico e scarico quando arrivano in Somalia?»*
*Ricostruzioni di Gigliola Alvisi contenute in Ilaria Alpi, la ragazza che voleva raccontare l'inferno
Le navi su cui Ilaria Alpi stava indagando erano sei navi frigorifere costruite tra gli anni Ottanta Novanta e poi donate al Governo somalo dal Dipartimento della cooperazione del ministero degli esteri al Governo della Somalia per incentivare l’attività peschiera. Nei primi anni Novanta gestire le imbarcazioni era la società Shifco.
La Shifco e le accuse di traffico di rifiuti
La Shifco nacque nel 1983 come joint-venture di pesca industriale tra l’Italia e la Somalia. Negli anni successivi in varie istanze si è sospettato che la Shifco fosse dedita al traffico di armi. E che il Governo italiano fosse connivente. Secondo le testimonianze dell’epoca infatti l’Italia avrebbe finanziato la guerra civile somala in cambio dello scarico sul suo territorio di rifiuti tossici e radioattivi.
Ma fu davvero così? Secondo quanto evidenziato da un report Onu del 2003 e da uno di Greenpeace del 2010 sicuramente nei primi anni Novanta ci fu un traffico internazionale di rifiuti tossici e di armi avvenuto tra Italia e Somalia. Ad essere coinvolte aziende italiane, autorità somale e personaggi della criminalità organizzata. E in entrambi i report spunta il nome Munyah che si ritrova, seppure con errori nella trascrizione, negli appunti di Ilaria Alpi.