Quello che ho nella testa, il nuovo brano di Chiara Vidonis
Quello che ho nella testa è il nuovo singolo di Chiara Vidonis. Il brano, che vede la produzione artistica di Karim Qqru (The Zen Circus), è il secondo tassello di un nuovo percorso intrapreso dalla cantautrice triestina che segue il precedente Lontano da me. Il brano, sempre prodotto da Karim Qqru, lo scorso giugno ha segnato il suo ritorno sulla scena dopo il fortunato debutto discografico con l’album Tutto il resto non so dove nel 2015.
Autrice appassionata, dalla voce elegante, che sa essere dolce e potente al tempo stesso, Chiara Vidonis ha all’attivo anni di concerti in tutta Italia.
Chiara Vidonis parla del brano Quello che ho nella testa
Quello che ho nella testa parla di quanto sia importante, per certe persone, trovare una sorta di guida spirituale, di guru, di leader, a cui potersi affidare senza riserve. «Questo guru – spiega Chiara Vidonis – diventa un Dio indiscusso, mentre la persona che ne subisce il fascino ne diventa, inevitabilmente una vittima». «La vittima si abbandona totalmente al guru, chiedendogli di non dover pensare, di non dover capire nulla, di non dover approfondire alcuna argomentazione, ma al contrario di farsi totalmente guidare dai suoi pensieri e dalla sua ideologia. Ad occhi chiusi si fida completamente di quello che il guru ha nella testa, supplicandolo di farlo coincidere con quello che la vittima ha nella testa, in un gioco di dipendenza reciproca in cui l’uno non esiste senza l’altra. In questo gioco si consolano entrambi per non sentirsi mai soli», spiega l’autrice.
Chiara Vidonis nasce a Trieste, per decenni città di confine per eccellenza. Qui le influenze culturali non sono mai mancate anche grazie al porto più importante d’Italia. In questo contesto di continuo scambio di umanità varia, di lingue, si configura la cultura della cantautrice. Fermamente radicata nella propria identità, ha testi in italiano di grande respiro. Parole in grado di affrontare le diverse sfaccettature dell’intimo umano, delle relazioni sociali, di polvere e di silenzio, di freddo intenso e di siccità; tutto questo su un tessuto musicale dai confini abbattuti, che guarda l’orizzonte a polmoni gonfi, colmi di stimoli provenienti dalle terre natìe del rock.