Candyman: le vite dei neri contano
Candyman è un film scritto e diretto da Jordan Peele, noto per i già celebri Get out e Noi. In questa pellicola il noto regista è affiancato dalla giovanissima Nia DaCosta. Candyman è il sequel dell’omonimo film del 1992 di Bernard Rose, divenuto un cult horror della propria epoca.
Trama
Anthony è un giovane artista nero che abita insieme alla sua compagna nel quartiere Cabrini- Green di Chicago. Un tempo ghetto degradato, ora rappresenta invece una zona chic della città. Nonostante il proprio talento Anthony è in una fase di stallo, gli manca l’ispirazione, e la cerca nella cultura della propria gente. Affascinato dalla macabra storia che il fratello della fidanzata racconta, inizia a fare ricerche. Questo scavare tra le rovine del passato fa scoprire ad Anthony la leggenda di Candyman. Un testimone racconta ad Anthony di quest’uomo ucciso dalla polizia perché ritenuto colpevole di molteplici infanticidi. In realtà però l’uomo era innocente. La leggenda narra che se una persona ripete cinque volte il nome Candyman di fronte ad uno specchio, lo spirito di questo si palesa per ucciderlo.
Anthony all’inizio è scettico, e ci scherza su, ma la storia lo colpisce tanto da decidere di dedicarci delle opere. È proprio durante la mostra di una di queste opere che iniziano a esserci omicidi inspiegabili.
Chi è Candyman?
Il personaggio venne inventato da Clive Barker e racconta la tragica storia di Daniel Robitaille. Figlio di uno schiavo nero, Daniel sin dalla giovane età manifesta un inaspettato talento per la pittura. Grazie a quest’abilità il padrone della piantagione gli commissiona il ritratto della figlia Caroline. Durante la realizzazione del quadro però i due giovani s’ innamorano, e Caroline resta incinta. La vicenda crea uno scandalo tale che degli uomini bianchi inseguono e torturano il giovane Daniel. Con una sega arrugginita gli tagliano una mano che viene sostituita da un uncino. Non soddisfatti, gli uomini decidono di cospargerlo di miele così da attirare uno sciame di api. Al macabro spettacolo assiste tutto il paese che, invece di aiutare il ragazzo, lo deridono chiamandolo “Candyman”.
Di’ il mio nome
Come avvenuto già in Get out, Jordan Peele approfitta di Candyman per parlare e denunciare ancora una volta il clima razzista della nostra contemporaneità. Sin dall’inizio sentiamo nei dialoghi dei personaggi una forte amarezza nei confronti dei bianchi. Questi sotto una finta maschera di perbenismo continuano a trattare i neri come inferiori. Il quartiere dove il protagonista vive, Cabrini- Green, non era altro che un ghetto costruito dai bianchi, e poi abbellito, per poter tenere il più possibile distante i neri dalla città. Questa minoranza è costretta a vivere nel caos di quartieri degradati abbandonati a loro stessi, senza poter chiedere aiuto a nessuno. Proprio chi dovrebbe difenderli, le forze dell’ordine, sono i loro primi aguzzini. È evidente come in questa storia riecheggi in modo esplicito quelle che sono le tragiche notizie che ancora oggi ascoltiamo ai telegiornali. Neri ingiustamente, e vigliaccamente, uccisi senza pietà dalla polizia. È proprio a causa di uno di questi tragici eventi che nel 2013 si è affermato il movimento Black lives metter, che ancora oggi cerca di portare alla luce le ingiustizie che il popolo nero è costretto a subire.
Il titolo dell’opera d’arte di Anthony da questo punto di vista è emblematico: Di’ il mio nome. Ovviamente nella storia di fa riferimento al nome di Candyman, ma è come se si facesse riferimento al nome di tutti quegli uomini ingiustamente uccisi che meritano visibilità. Candyman è una forma di giustizia sommaria, di vendetta. Candyman non è altro che un mostro creato dai bianchi, è il risultato di tutti i soprusi che il popolo nero è stato costretto a subire.